Arriva in libreria «L’arbitro arcobaleno», edizioni Fontana, che parla di omofobia ed esclusione nel mondo dello sport ticinese. Come valuta questa operazione?
È sensata. Purtroppo lo sport è ambivalente. Da una parte veicola messaggi estremamente positivi, e promuove sia l’attività fisica, sia la socializzazione. Dall’altra, soprattutto quando è spinto all’esasperazione, può portare a una deriva. E l’omofobia è solo una delle tante possibili conseguenze.
Esiste l’omofobia nello sport ticinese?
Penso che sia un’ipotesi molto realistica. Soprattutto in discipline ritenute virili come il calcio e l’hockey. Un libro come questo ha il pregio di stimolare un dibattito a 360 gradi. Perché la discriminazione non si ferma solo al machismo e all’omofobia. Avete in mente il calciatore Valon Behrami, appena dopo l’eliminazione della Svizzera a Euro 2016? Si è presentato ai microfoni in lacrime, dicendo che lui a quella maglia ci tiene. E facendoci capire che nella sua carriera ha vissuto un’infinità di pregiudizi. Io sogno uno sport che promuova la partecipazione di tutti e non l’esclusione.
Quali altri problemi dovrebbero essere vinti?
In alcuni contesti si continua a umiliare i deboli, andando al di là della normale selezione dei più bravi. Questo, in particolare nello sport giovanile, non dovrebbe mai accadere. Inoltre, in un ambiente portatore di valori positivi, le battute a sfondo discriminatorio sono fuori luogo. In molti sport le cose vanno bene, ma per alcune discipline bisognerebbe fare una riflessione più approfondita.
Intervista di Patrick Mancini pubblicata su Cooperazione, 06.09.206